Topic 3 Reti democratico-partecipative

Perché un processo possa mantenersi, deve basarsi sulla leadership collettiva costruita dalla base. In altre parole, che le persone sentano e verifichino che le loro iniziative sono prese in considerazione, da tutto il processo, nei gruppi e nelle riunioni, almeno in una certa misura. Questo non significa che tutto ciò che viene proposto alle persone venga seguito, ma che deve esserci un processo decisionale trasparente dal basso verso l’alto, in cui ogni analisi o proposta abbia la possibilità di essere considerata, discussa e ponderata.

Partiamo, quindi, dalle reti informali della vita quotidiana, dai commenti dei bar, dei mercati, delle piazze, ecc. fino a vedere come si raggruppano per “insiemi di azioni”. Passiamo ora alle modalità di funzionamento del processo decisionale.

*Organizzazione (Eco)

Così, ad esempio, ogni gruppo di lavoro (nel grafico GT) o di attività può incontrarsi con altri simili o diversi per Tavoli tematici (Educazione, Salute, Sicurezza, Lavoro, ecc.), e il Gruppo Motore (nel grafico GM) insieme al gruppo multimediale fanno il loro lavoro trasversale per incoraggiare tutti con l’idea-forza, superare i blocchi o i problemi di coordinamento, o di diffusione.

Si tratta più di una mappa flessibile di funzionamento auto-organizzato e rivedibile ogni anno, che di un organigramma gerarchico e rigido. In altre parole, si tratta di dotarsi all’interno del processo di uno schema di rete democratico e partecipativo (che faciliti il protagonismo delle persone) per presentarsi di fronte ai poteri amministrativi o economici con una voce collettiva e con progetti concreti, in modo che la negoziazione e il monitoraggio siano più praticabili ed efficienti..

* Si propone un’organizzazione operativa e democratica, capace di rispondere localmente alle sfide poste. Non è frequente che esista questo tipo di organizzazione, ma piuttosto alcuni organi di potere locale o settoriale di tipo consultivo e generalmente un po’ atrofizzati nel loro funzionamento. Non si tratta di cambiare un organigramma con un altro nei dibattiti interni alle amministrazioni, ma di prendere preliminarmente atto del programma sociale emerso dall’autodiagnosi e di aggiornarlo, per vedere come gli insiemi di azioni possono essere organizzati “ad hoc” in tavoli di lavoro, riunioni di laboratorio o di centro o di quartiere, assemblee, ecc.

Il sociogramma continua ad essere uno degli strumenti chiave del Gruppo Motore nel processo decisionale e di sviluppo della strategia, non solo in relazione alla sua posizione al suo interno (ad esempio, tra gli esterni e i diversi per persuaderli), ma anche in relazione alla sua composizione (ad esempio, se non c’è una rappresentanza di donne al suo interno, sarebbe necessario muoversi verso gli spazi in cui sono presenti).

In un’Assemblea partecipativa è conveniente lavorare a partire da contributi personali in piccoli gruppi (prima o durante l’atto), il che permette a ciascuno di esprimere la propria iniziativa in gruppi ideali di 6-8 persone e non più grandi di 10-12. In questo modo, un gruppo di 100 persone può raccogliere le opinioni di 10 gruppi e discuterle in plenaria.

Dobbiamo scandire i tempi affinché queste assemblee non durino all’infinito e finiscano per annoiare.

Non sono luoghi di “comizi” che monopolizzano l’informazione, ma luoghi in cui proporre analisi collettive e proposte operative, che possono essere ponderate come nel caso dei ritorni creativi di cui abbiamo parlato.

Le assemblee non devono essere tenute ogni mese, ma se ne consigliano almeno una o due all’anno. Pertanto, devono essere inquadrate all’interno di un calendario e averle come riferimento. È alle assemblee partecipative che devono arrivare le proposte (sia dai “tavoli di lavoro” di ogni area geografica che dalle questioni settoriali).

Ecco due esempi di come potrebbe funzionare in un Quartiere e in una Regione.

Nell’esempio successivo, pubblicato in un opuscolo distribuito in un quartiere di Malaga, si propone di ascoltare e consultare i 6 tavoli tematici su ciascuna delle questioni che li riguardano. Lo stesso vale per i 4 tavoli in cui può essere suddiviso il territorio del quartiere (circa 30.000 abitanti). Dal lavoro di questi gruppi, vengono avanzate proposte (una o due volte l’anno) all’Assemblea, affinché questa dia loro legittimità e dia priorità alle azioni più urgenti e alle proposte di lavoro a medio e lungo termine.

Tutto questo non funzionerebbe senza un Gruppo Motore attivo e dinamico, senza un Team Creativo (multimediale) e senza una Commissione di Controllo che monitori e renda conto delle decisioni prese in Assemblea. Inoltre, deve esserci uno spazio o un Tavolo di negoziazione con le Amministrazioni e i media, per rendere effettivi gli impegni, raccogliere informazioni e monitorare gli accordi raggiunti.

Esempio di rete democratico-partecipativa di un Piano di quartiere

Nella tabella dell’esempio seguente, riassumiamo il processo partecipativo in sei fasi, distribuite nella colonna di sinistra, e nelle altre 4 colonne abbiamo inserito le proposte operative per le diverse reti in cui le democrazie possono muoversi faccia a faccia, le democrazie con laboratori e assemblee partecipative, le democrazie elettroniche e le democrazie dei media audiovisivi. È un tentativo di articolare queste forme di iniziativa dalla base e di concordare proposte dalla collaborazione (in questo caso, delle associazioni di migranti e pro-migranti con l’amministrazione regionale).

L’aspetto della democrazia partecipativa negli ultimi anni sta proponendo nuove forme decisionali basate su:

  • la costruzione collettiva delle proposte,
  • la sostituzione dei “rappresentanti” che interpretavano ciò che voleva il popolo con “portavoce” che trasmettono solo le iniziative della base o dei tecnici,
  • l’articolazione di nuovi canali di partecipazione a partire dalla vita quotidiana delle persone, delle persone non organizzate, e non solo attraverso le associazioni, anche se queste continuano ad essere molto importanti (ma per la loro attività, non per la loro rappresentatività).